25 aprile 2025, ottant’anni di vivida memoria

25 aprile 2025, ottant’anni di vivida memoria

È nota a tutti l’attenzione che questa amministrazione, e le amministrazioni precedenti, sempre con il Sindaco Daddi per dieci anni consecutivi e con i Sindaci Angelo Dubini ed Eleonora Dubini, ha dato e hanno dato alla festa della Liberazione. Una celebrazione che fin dal 25 aprile 1945, per ottant’anni, ha contribuito a mantenere salda la memoria degli italiani sugli eventi nefasti causati dal nazifascismo e, finalmente, sulla Liberazione che dobbiamo alle forze alleate angloamericane e al sacrificio di migliaia di Partigiani morti per la nostra libertà.

Quest’anno, abbiamo detto, cadono gli ottant’anni, quindi il 25 aprile di oggi è una festa ancora più importante per il traguardo raggiunto di pace e stabilità, per questo la Giunta ha deciso di onorarla con una celebrazione degna dell’evento. Qui di seguito riportiamo il discorso del Sindaco e i brani che sono stati letti dagli assessori e consiglieri, intervallati da suggestivi pezzi musicali suonati dalla magnifica Banda Bregnano, diretta dal Maestro Franco Arrigoni.

Dal discorso del Sindaco Oggi è una celebrazione cioè un Festa, per tutti gli italiani e tutte le italiane. Ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. Il Comune di Bregnano aderisce orgogliosamente al Comitato Comasco che si è costituito per questa ricorrenza. Stamattina la Camminata per la Festa della Liberazione, nonostante i tempi ristrettissimi, è riuscita magnificamente. Ringrazio tutti i volontari di Pro Loco, di AVIS e dei Camminatori Sant’Anna. Il senso di questa Camminata è sempre stato la gioia, la concordia e la collaborazione, ed è l’unità che porta a questi grandi risultati! Le bandiere tricolori, però, in Comune restano a mezz’asta fino a domani, giorno dei funerali di Papa Francesco. La facciata del Municipio è stata illuminata di viola fino a ieri, per manifestare con profonda commozione il cordoglio di tutti i Bregnanesi. Anche il Presidente della Repubblica, oggi a Genova, ha ricordato la grande lezione che ci ha consegnato Papa Francesco e fatto riferimento allasua “Fratelli tutti”, perché non si può ignorare che molti nostri fratelli, soffrono ancora situazioni di ingiustizia che ci interpellano tutti … e perché non ci può essere pace soltanto per alcuni, benessere per pochi, lasciando miseria, fame, sottosviluppo, guerre, agli altri.Il Presidente Mattarella ha detto che La Resistenza si pose l’obiettivo di raggiungere la pace come condizione normale delle relazioni fra popoli … e che è sempre tempo di Resistenza, perché sono sempre attuali i valori che l’hanno ispirata! Ha fatto riferimento alla nascita dell’Europa e al concetto di Patria, come faremo anche noi nel seguito di questa celebrazione.

MAI si deve dimenticare il passato, o peggio deformarlo, annacquare quegli anni, ridimensionarli, sdoganare gesti e simboli, cimeli di famiglia, che li hanno rappresentati. Non bisogna temere il pluralismo, il dissenso purché si mantengano sempre nel rispetto dell’altro: è il caso della critica alle azioni di Israele, farle non significa essere antisemiti ! Né bisogna contrastare le diversità, o gli stranieri, perché sono la radice della democrazia, di ogni democrazia evoluta. Un Paese libero e democratico oggi non è solo quello dove si vota, ma è quello dove si partecipa, è quello che include non esclude, dove le Istituzioni incitano a tenere la schiena dritta, a contrastare la corruzione, a restare uniti, e a festeggiare non in privato, in famiglia, ma in pubblico, tutti insieme, per coindividere e testimoniare che la storia della nostra libertà è stata scritta dai martiri della Resistenza.

Quegli uomini e quelle donne, UNITI intorno al tricolore, che si definivano “patrioti”, hanno fondato, per tutti, l’Italia repubblicana! Elena Daddi

Walter Monti da Uomini e no di Elio Vittorini“I morti al largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul Corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque Giornate, ai piedi del monumento. Cartelli dicevano, dietro ogni fila di morti: passati per le armi. Non dicevano altro, anche i giornali non dicevano altro, e tra i morti erano due ragazzi di 15 anni. La gente andava per le strade e vedeva i morti dappertutto, al sole, all’ombra, sui marciapiedi e sotto il monumento e non aveva bisogno di saper altro. Guardava le facce morte, i piedi ignudi, i piedi nelle scarpe, guardava le parole dei cartelli, guardava i teschi con le tibie incrociate sui berretti degli uomini di guardia, e sembrava che comprendesse ogni cosa. Come? Anche quei due ragazzi di 15 anni? Anche la bambina? Ogni cosa? Per questo, appunto, sembrava anzi che comprendesse ogni cosa. Nessuno si stupiva di niente. Nessuno domandava spiegazioni. E nessuno si sbagliava. C’era, tra la gente, il Gracco. C’erano Orazio e Metastasio, Scipione, Mambrino, ognuno per conto suo (partigiani). Essi, naturalmente, comprendevano ogni cosa; anche il perché delle donne, della bambina, del vecchio, dei due ragazzi, ma ogni uomo che era nella folla sembrava comprendere come ognuno di loro: ogni cosa. Perché? Il Gracco diceva. Una delle due donne era avvolta nel tappeto di un tavolo, l’altra sotto il monumento sembrava che fosse cresciuta, dopo morta, dentro il suo vestito a pallini:  se lo era aperto lungo il ventre e le cosce, dal seno alle ginocchia, e ora lasciava vedere il reggicalze rosa, sporco di vecchio sudore, con una delle giarrettiere che pendeva attraverso la coscia, dove avrebbe dovuto avere le mutandine. Perché quella donna nel tappeto? Perché quell’altra? E perché la bambina? Il vecchio? I due ragazzi? Il vecchio era ignudo, senz’altro che la lunga barba bianca a coprire qualcosa di lui, il colmo del petto; stava al centro dei sette allineati ai piedi del monumento, non segnato da proiettili, ma livido nel corpo ignudo, e le grandi dita dei piedi nere, le nocche alle mani nere, le ginocchia nere, come se lo avessero colpito, così nudo, con armi avvelenate di freddo. I due ragazzi, sul marciapiede all’ombra di largo Augusto, erano invece sotto una coperta, una in due, e stavano insieme, nudi i piedi fuori della coperta, e in faccia seri, non come molti bambini, con paura, con tristezza, ma serii da grandi, come i morti grandi vicino ai quali si trovavano. E perché loro? ….. Vero, disse il Gracco. Egli lo sapeva, e i morti glielo dicevano. Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di 15 anni, in una donna, in un’altra donna. Questo era il modo migliore di colpire l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dov’era più uomo. Chi aveva colpito voleva essere il lupo, far paura all’uomo. Non voleva fargli paura? E questo modo di colpire era il migliore che credesse di avere il lupo per fargli paura. Però nessuno, nella folla, sembrava aver paura.”       

Gloria Selva . Il primo brano con cui la Banda di Bregnano, diretta dal Maestro Franco Arrigoni, apre questo Concerto per la Liberazione, è Fischia il vento. Fischia il vento nasce come canzone d’amore, fu composta dal maestro Matvej Blanter sulle parole del poeta Michail Isakovskij, e racconta la nostalgia di una ragazza, di nome Katiuscia, per il suo amato che è lontano, è al fronte. Il motivo è orecchiabile, i partigiani la intonarono e trasformarono il testo in quello che è universalmente riconosciuto come l’inno dei partigiani. Queste le parole: “nella notte lo guidano le stelle, forte il cuore e il braccio nel colpir. Se ci coglie la crudele morte, dura vendetta verrà dal partigian. Ormai sicura è già la dura sorte del fascista vile traditor”. Sono parole dure perché duro, durissimo è stato il fascismo in Italia, e va ricordato per quello che è stato, e condannato in toto, sempre e per sempre.

Laura Volonterio Il 25 aprile del 1945, alle ore 8 del mattino, gli italiani e le italiane poterono sentire, dalle frequenze di Radio Milano liberata, dalla voce di Sandro Pertini, allora a capo del CLNAI – Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, questo famoso proclama: “La battaglia finale contro la Germania hitleriana volge a passi rapidi e sicuri verso il trionfo definitivo delle potenze alleate dei popoli democratici. La cricca hitleriana e fascista sente venire la propria fine e vuol trascinare nella rovina estrema le ultime forze che le restano e, con esse, il popolo e la nazione” È una lotta inutile ormai per i nazifascisti, è un suicidio collettivo. Una sola via di scampo e di salvezza resta ancora a quanti hanno tradito la Patria, servito i tedeschi, sostenuto il fascismo: abbassare le armi, consegnarle alle formazioni patriottiche, arrendersi al Comitato di liberazione nazionale. “Arrendersi o perire!” Non c’è il fascino della “bella morte” nelle fila partigiane, mentre c’è in quelle dei loro nemici, i nazisti e i fascisti. I simboli della dittatura furono volutamente e consapevolmente simboli di morte: il fascio littorio, rappresenta il potere di chi decide la vita o la morte; le SS hanno la testa di morto sulle divise; il segno distintivo dei repubblichini è il teschio con le tibie incrociate; la croce celtica è divenuta simbolo dei neonazisti sovranisti, tra cui il Ku Klux Klan, in tutto il mondo. Invece, in tanti paesi dove si combatte per ribellarsi all’oppressore, all’invasore, dove un popolo si ribella a una dittatura, in tante lingue diverse o anche in italiano, si canta Bella Ciao. Secondo l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani (ANPI) “Bella ciao divenne inno ufficiale della Resistenza solo anni dopo la fine della guerra … quando già i partigiani avevano consegnato le armi“. Ancora Pertini: “L’unica guerra che si ha il diritto di combattere, è quella per difendere le proprie case (…) Io sono orgoglioso di essere cittadino italiano, ma mi sento anche cittadino del mondo, sicché quando un uomo in un angolo della terra lotta per la sua libertà ed è perseguito perché vuole restare un uomo libero, io sono al suo fianco con tutta la mia solidarietà di Cittadino del Mondo”.   Questo è il fiore del Partigiano morto per la Libertà

Maria Angela VolonterioQuello che non si può perdonare alla guerra è quel mettere l’uomo contro l’uomo, nella sua stessa umanità, che è fatta ad un tempo di fragilità e forza, di bestialità e spiritualità, di ipocrisia e purezza.

Walter Monti Da “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque: “Camarad, io non ti volevo uccidere. Se tu saltassi un’altra volta qua dentro, io non ti ucciderei, purché anche tu fossi ragionevole. Ma prima tu eri per me solo un’idea, una formula di concetti nel mio cervello, che determinava quella risoluzione. Io ho pugnalato codesta formula. Soltanto ora vedo che sei un uomo come me. Allora pensai alle tue bombe a mano, alla tua baionetta, alle tue armi; ora vedo la tua donna, il tuo volto, e quanto ci somigliamo. Perdonami, Camarad! Noi vediamo queste cose sempre troppo tardi. Perché non ci hanno mai detto che voi siete poveri cani al par di noi, che le vostre mamme sono in angoscia per voi, come per noi le nostre, e che abbiamo lo stesso terrore, e la stessa morte è lo stesso patire… Perdonami, Camarad, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello…”

Maria Angela Volonterio La Grande guerra, dunque, non ha insegnato nulla. Ancora più atroce, se possibile, quando la guerra è una guerra civile, come quella che ha insanguinato la nostra penisola dall’ 8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, quando si combatte nella propria terra, contro un soldato come te, che ha la tua età, potrebbe essere un parente – anche di quelli che hanno scelto la parte sbagliata – un giovane o un padre di famiglia che in fondo vuole solo quello che vuoi tu, non vedere più quegli orrori, tornare a casa.

Walter Monti Da “L’Eco di uno sparo” di Massimo Zamboni“Rastrellamento si chiama questo radunare le vittime. Andarle a scovare, a stanare, stringendo le maglie di ciò che sarà. Rastrellatore si chiama la qualifica. La trovo attestata, quella qualifica, sulla scheda di un cognome a me troppo vicino.Un familiare, iscritto al PFR partito fascista repubblicano. Tra le sue qualifiche risalta: rastrellatore Bettola. Così è scritto. Aveva 19 anni quella notte quel mio parente, prossimo per sangue e lontanissimo.18 più del bambino che ha visto strappare via dalla madre e buttare vivo escalciante dentro al rogo con gli altri. Crediate o non crediate, pregate per lui. Per la sua anima esausta, che ogni giorno da 70 anni chiama inascoltata per quanto sa di dover celare.”

Giada Biondi “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…” È l’art. 11 della Costituzione italiana, nata dalla resistenza perchè scritta dai Resistenti. La lotta di liberazione fu lotta per la libertà e per la pace, per un futuro migliore per tutti, per chi sarebbe rimasto: altrimenti a cosa è servito morire? Chi nel 1944 ha incrociato le braccia in sciopero per protesta contro il regime fascista, chi ha imbracciato i fucili e ha combattuto i nazifascisti, chi è stato deportato, chi torturato, voleva un acosa sola: il ritorno alla normalità, alla quotidianità, alla serenità del vivere domestico. La guerra non è bella, non è mai bella, e fa solo male!

Tomas Morotti Dalle “Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana”: Parma, 4 maggio 1944 “Cari compagni, ora tocca a noi. Andiamo a raggiungere gli altri gloriosi compagni, caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol far più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia, che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della libertà. Cara mamma e cari tutti, purtroppo il destino ha scelto me ed altri disgraziati per sfogare la rabbia fascista. Non preoccupatevi tanto, e rassegnatevi al più presto della mia perdita. Io sono calmo. ” Vostro Giordano.

Gloria Selva Il senso autentico del 25 aprile è una rinascita per l’Italia, L’Italia liberata dalla guerra, dalla dittatura che aveva soffocato ogni cosa. Non è facile tornare semplicemente a vivere, bisogna saper vedere il bello che è rimasto e voler sperare in un domani. Ma non si deve dimenticare. Una partigiana anonima ha detto: “al fascismo – che cantava sprezzante giovinezza giovinezza – non perdonerò mai di avermi tolto la gioventù”.

Alessandro Belcore Il 25 aprile 1945 gli italiani e le italiane erano liberi e libere. Libertà finalmente … che meraviglia tornare a sentire “la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”: Sono le parole di PaoloBorsellino, – riferite alla mafia – ma che si attestano bene anche al fascismo, a chi lo ha sostenuto o ha collaborato con esso (per paura? per convenienza? per disinteresse?) La Libertà, ci insegnano i Grandi del passato, non è mai solo la mia, la libertà per me, ma è soprattutto anche quella degli altri, di tutti. Parafrasando la celebre poesia di Bertold Brecht, la libertà NON È NULLA se non è conquistata e riconquistata, difesa di giorno in giorno, per me e per tutti, anche se questa volta “non sono venuti a prendere meNelson Mandela nel 1964 in occasione del suo processo pronunciò queste parole : “Ho combattuto il predominio dei bianchi e ho combattuto il predominio dei neri. Ho accarezzato l’idea di una società libera e democratica, in cui tutti possano vivere insieme in armonia e con le stesse opportunità. È un ideale che spero di vedere realizzato, se vivrò abbastanza a lungo. Ma se sarà necessario, è un ideale per cui sono pronto a morire.

Delia Mazza Uno degli edifici del Parlamento Europeo a Bruxelles porta il nome di un italiano: Altiero Spinelli. Fu un antifascista e per questo venne confinato dal regime di Mussolini nel 1941 a Ventotene, dove scrisse pagine intense e memorabili come queste. Dal “Manifesto di Ventotene”: “La malattia che porta al totalitarismo non è mai di quelle malattie che si chiamano incurabili, contro le quali l’organismo colpito non può nulla. È una malattia di cui muore l’organismo che vuole veramente morire, e che rinunzia perciò a difendersi. (…) La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita.” La vita, come il bene, vince sempre sulla morte e sul male. La vita è bella.

Walter montiAdagio for you è una composizione di Franco Arrigoni, che oltre ad essere direttore è anche compositore noto e apprezzato. Sulla sua musica mi pregio di recitare una poesia di Hafez Haidar, scrittore e poeta, nonché massimo traduttore dall’arabo, grandissimo conoscitore delle scritture che fanno capo alle religioni rivelate, candidato al Nobel per la Pace e ambasciatore di Gariwo. La poesia è SOGNO, la potete vedere affissa in questa sala, al centro sotto la foto del nostro presidente. Il testo è una preghiera laica per un mondo di pace. Vogliamo dedicare le note di del brano “adagio for you” e le parole della poesia “Sogno” a te, partigiano morto per la libertà, e a tutti coloro che si adoperano per la tolleranza e la concordia tra gli uomini.

SOGNO Sogno di vivere in un mondo senza frontiere
E senza paure,
Dove la guerra è il ricordo
Di un vecchio passato.
Sogno di vivere in un mondo
Dove non esistono né bombe né Kamikaze,
Dove una madre non versa lacrime amare
Sul viso insanguinato di un neonato.
Sogno di vivere in un mondo
Dove gialli, neri, bianchi e rossi
Si tengono tutti per mano,
Dove cristiani, musulmani ed ebrei
Pregano nello stesso luogo,
Illuminati dalla stessa luce
Che irradia tutti i giorni
I cuori dei bambini.
HAFEZ HAIDAR

Elena Daddi “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” –
è il primo comma dell’art.52 della Costituzione.
“Dulce et decorum est pro patria mori”, dolce e onorevole morire per la Patria, nei
versi di Orazio. Il poeta latino celebra come un privilegio poter sacrificare la propria
vita affinché la Comunità a cui si appartiene possa sopravvivere.
La nostra Patria è nata il 17 marzo del 1861 – giorno della proclamazione del Regno
d’Italia a Torino – che però non è festa nazionale, mentre lo è oggi e per sempre
ogni 25 aprile, anche se qualcuno, pur rappresentando le istituzioni, lo mette in
dubbio …
Prima di quella data l’Italia, come nazione, non esisteva.
E nacque monarchica, liberale e costituzionale mentre la Resistenza ha reso
possibile che arrivasse a noi libera, democratica e repubblicana.
Patria è un conceho nato per UNIRE non per dividere: riconoscerci nella stessa
madre patria, senza revisionismi o demagogie, potrebbe tornare ad affratellarci.
Abbiamo ricordato oggi la rossa primavera del 1945.
Rossa era la Bandiera. Rosso il fazzoletto dei partigiani delle formazioni socialiste e
comuniste (mentre i badogliani avevano il fazzoletto azzurro); la 52° Brigata attiva
nel nostro territorio era la Brigata Garibaldi.
Erano rosse le camicie dei Garibaldini sbarcaC in Sicilia per liberare, unire e rendere
indipendente l’Italia, combattendo e morendo anche allora.
Un potente filo rosso dunque unisce il Risorgimento alla Resistenza.

Si ringrazia Circolo f095 Bregnano per le foto della manifestazione 25 aprile

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